Il ritrovamento
Le fornaci del Lazzaretto, antica denominazione del luogo, sono state rinvenute all’interno di una vasta area da lottizzare mentre l’impresa appaltatrice stava eseguendo ampi e profondi sbancamenti preliminari alle opere di urbanizzazione.
Il ritrovamento è avvenuto verso la fine di febbraio del 2008 nel corso di un controllo di superficie, uno dei tanti che il Gruppo archeologico Monteclarense effettua nell’ambito del proprio progetto di tutela del patrimonio storico locale.
In particolare, in una sezione di scavo posta sul lato ovest della lottizzazione ed addossata alla strada che porta a Carpendolo, nel tratto che corre parallelamente al colle di San Pancrazio, sono stati notati due depositi di rotture di laterizi ad una distanza di una decina di metri uno dall’altro. Dopo controlli più accurati, anche con l’ausilio di piccoli sondaggi, è apparsa evidente la presenza di murature in mattoni crudi o semicotti, una pavimentazione e gran quantità di concotto, il tutto pertinente a strutture datate e meritevoli di essere indagate.
Dopo aver preso gli accordi con la proprietà ha avuto inizio l’indagine archeologica che è durata una quindicina di giorni al termine dei quali sono emerse le strutture di due fornaci per la produzione di laterizi, resti interessanti e corposi nonostante le recenti mutilazioni causate dai mezzi meccanici.
Si tratta di fornaci a camera aperta, a fuoco intermittente, risalenti al XVII-XVIII secolo; nei documenti conservati nell’archivio parrocchiale e riguardante la fabbrica del duomo di Montichiari esistono le registrazioni di alcune forniture di mattoni effettuate da Mansueto e Angelo Quadri, “fornasari del Lazzaretto”, negli anni che vanno dal 1738 al 1742.
Le due fornaci si distinguono per conformazione e dimensioni complessive: la fornace A posta a nord ed orientata nord-sud è lunga 9 mt e larga 4,50 mt mentre la fornace B orientata est-ovest è lunga 13,45 mt (ma è mutilata nella parte finale del praefurnium, in origine doveva essere qualche metro più lunga) e larga 5,35 mt.
La fornace A possiede due camere di combustione, una si conserva ancora completa, con due canali di adduzione del calore che incidono il pavimento della camera di cottura a 1,75 mt dal piano di campagna, la fornace B è monocamera di combustione, ha un solo canale di immissione dell’aria calda ed un pavimento di cottura a 3,40 mt dall’attuale piano di campagna o superficie di calpestio che coincide con il livello d’uso settecentesco come si nota dalle sezioni di scavo.
Le due fornaci erano per la gran parte ipogee con uno scivolo anteriore che immetteva nella zona antistante il forno, qui veniva depositato il legname ed agiva il fornasaro per il controllo del fuoco ed il disbrigo dei residui di combustione.
Le camere di cottura erano aperte verso l’esterno in sommità dove lasciavano sfogare l’aria calda residua, perciò dovevano essere semplicemente coperte da una tettoia a spioventi sostenuta da pilastri e permettere così l’accesso alla catasta dei laterizi durante ed al termine della fase di cottura; anche la zona del “praefurnium” doveva essere protetta da tetto.
Solo le murature rivolte all’esterno sono costruite in solida muratura in malta, i forni e le camere di cottura sono in mattoni crudi (essiccati) uniti da una pozzolana sempre di carattere argilloso usata anche per la stabilitura interna.
L’alta temperatura raggiunta durante l’esercizio (900 – 1100 C°) ha cotto i laterizi in maniera proporzionale alla distanza dalla fonte di calore come si nota nelle sezioni portate alla luce, qui il colore del manufatto passa dal verdognolo, al giallo, al rosso, al bruno fino al confondersi con il colore del coltivo. Il notevole spessore delle pareti ( fino a 1.25 mt ) contribuiva a contenere il calore ed ha isolare la catasta dal sabbione di origine glaciale.
Dall’esame delle sezioni nel terreno interessato dalla lottizzazione così come le pendici vicine del monte di S. Pancrazio non sono risultati alla vista depositi adatti a fornire l’argilla primaria, bisogna pensare quindi che la materia prima fosse cavata un po’ più in là, forse verso il monte di S. Zeno.
Al di là della strada per Carpendolo e dell’antica Fossa Magna, ad una distanza di poche decine di metri dalle fornaci c’è casa Maggi; questa abitazione esiste già nel catasto napoleonico del 1810 e non è da escludere una possibile relazione con le strutture ritrovate.
Fornaci di questo tipo erano ancora in funzione in riva al Mincio qualche decennio fa com’è ben documentato nella pubblicazione “studi di cultura materiale del museo civico polironiano” di S. Benedetto Po.
La fornace era attiva da maggio a settembre, le principali fasi di lavorazione erano l’impasto della malta, la formatura con gli stampi, l’essicazione dei pezzi ed infine la cottura; i mesi invernali erano dedicati all’approvvigionamento dell’argilla ed alla preparazione della stessa.
Alle fasi di formatura ed essiccazione partecipavano donne e bambini, i laterizi rimanevano sotto il sole più giorni a secondo dello spessore poi venivano accatastati al coperto in attesa di raggiungere il numero sufficiente per l’infornata.
Nella camera di cottura della fornace venivano accatastati in maniera opportuna alcune decine di migliaia di pezzi, poi veniva acceso il forno o i forni utilizzando legname di grossa taglia. La cottura durava circa tre giorni durante i quali il “fornasaro” metteva in campo tutta la propria esperienza nel controllo del fuoco e per la buona riuscita dei manufatti.
Terminata la cottura i laterizi rimanevano nella fornace per una settimana prima di essere tolti e venduti.
Sempre dai documenti conservati nell’archivio parrocchiale si evince come nella prima metà del settecento fossero attive a Montichiari quattro fornaci che rifornivano la fabbrica del duomo nuovo, esse erano situate oltre che al Lazzaretto, a Casuzzo, a S. Cristina ed a Bredazzane.
La fragilità del materiale (laterizio crudo) che caratterizza il 90% dei resti fa si che le strutture delle fornaci non siano adatte alla conservazione all’aria aperta, per questo motivo sono state reinterrate e la loro tutela è garantita dal comune visto che questo lembo della lottizzazione è destinato a verde pubblico.
(P.C.)
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