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Anno 2005

MONTICHIARI (BS) - Monte S. Zeno


Necropoli longobarda e insediamenti medievali


Nell’ormai lontano 1998, con il ritrovamento fortuito di due sepolture altomedievali sul Monte S. Zeno, uno dei rilievi del cordone morenico di Montichiari, iniziava, in seguito a sistemazioni di una strada vicinale, un’impegnativa indagine diretta dalla Soprintendenza e condotta interamente dal Gruppo Archeologico Monteclarense.
Anno dopo anno lo scavo, giunto nel 2005 all’ottava campagna, ha rivelato uno dei più vasti complessi cimiteriali d’età longobarda nel territorio bresciano, superiore per consistenza numerica alla necropoli, pur assai estesa, di Porzano di Leno (cfr. NSAL 1995-1997, pp. 93-95).
Il luogo del ritrovamento è ubicato sull’estremità del versante SW del colle, lungo la via Rampina, parte di un antico percorso, oggi secondario, che metteva in comunicazione Montichiari con Carpenedolo, costeggiando con andamento sinuoso per circa 7 km il pendio occidentale della catena di collinette e la sponda orientale del letto del fiume Chiese che in età medievale lambiva il piede dei rilievi morenici.
Su un’area di circa 6000 mq sono state scavate finora 311 tombe appartenenti al cimitero di un villaggio del VII secolo, forse situato nell’adiacente valletta delle Fontanelle, ricca di risorgive, oltre la quale, a m 350 di distanza sulla pendice NW del Monte S. Giorgio, fu pure rinvenuta una piccola necropoli altomedievale di 11 tombe (cfr. NSAL 1995-1997, pp. 101-102) probabilmente anch’essa riferibile al medesimo insediamento.
Le sepolture, tutte orientate W-E con capo ad ovest e distribuite in modo abbastanza uniforme, seguivano il profilo ondulato della costa della collina, in origine caratterizzata da dossi e marcati avallamenti che in epoca posteriore furono rispettivamente spianati e riempiti per realizzare ampi terrazzamenti per le coltivazioni. Ciò giustifica la profondità assai varia delle tombe rispetto all’attuale piano di campagna (da 0, 30 a 2,00 m di profondità) e la completa assenza di esse in un’ampia zona che si allungava attraverso tutta l’area finora scavata.
Questi interventi di sistemazione agraria hanno anche intaccato in vario grado un elevato numero di sepolture, alcune delle quali erano ridotte ad una debole traccia appena visibile nel sottofondo morenico. Generalmente meglio conservate erano invece quelle situate a maggiore profondità; molte di esse tuttavia mostrano segni evidenti di manomissione dovuti ad antiche spoliazioni che interessarono tanto le strutture dei loculi in muratura, talvolta completamente asportati, quanto i corredi.
La disposizione complessivamente ordinata delle tombe una rispetto all’altra e la presenza di sensibili spazi vuoti fra zone di maggior addensamento fanno supporre - cosa peraltro abbastanza ovvia - un’origine polifocale della necropoli risalente alla compresenza di nuclei familiari in principio ben distinti e successivamente giunti a confondersi.
L’assenza di sovrapposizioni anche nelle zone di più fitto concentramento e l’evidente organizzazione in brevi filari, formatisi per la giustapposizione progressiva delle fosse lungo allineamenti NW – SE, già osservata in diverse necropoli bresciane e lombarde,  indica inoltre che le tombe dovevano essere ben individuate in superficie da tumuli e/o segnacoli dei quali non s’è tuttavia conservata traccia.
Dal punto di vista strutturale la grande maggioranza delle tombe è riferibile ai due tipi più diffusi nelle necropoli altomedievali della pianura bresciana: 210 tombe (68 %) sono semplici fosse in nuda terra, 83 tombe (26 %) sono bordate in superficie o rivestite da una foderatura a secco di pietrame, ciottoli, frammenti laterizi di recupero o in tecnica mista; solo 19 tombe invece (6 %) sono realizzate in muratura di ciottoli e/o laterizi legati da malta, alcune di esse hanno inoltre fondo in laterizi e pareti intonacate. Quanto alla forma del loculo le varie sagome (rettangolare, subrettangolare, trapezoidale con o senza terminazioni arrotondate, antropoide), appaiono indifferentemente associate tanto alle sepolture in nuda terra che a quelle strutturate.

Il ridottissimo numero di coperture conservate, 4 alla cappuccina in mattoni sesquipedali  e 9 con lastre irregolari di pietra, non consente di stabilire quale fosse il tipo di copertura prevalente, anche se appare più probabile che la maggior parte delle sepolture fosse coperta a capanna con laterizi, considerata l’indubbia difficoltà di reperire in loco, se non da spolio, lastre di sufficiente larghezza.
Percentualmente rilevante, nonostante il grado assai vario di conservazione dei resti, è invece il numero degli scheletri (presenti in 222 casi, pari al 71% delle sepolture) dei quali è da poco stata avviata l’analisi antropologica.
Solo 79 sepolture (25% del totale) hanno restituito complessi di oggetti d’abbigliamento e di corredo di consistenza e composizione assai varia - databili nel corso VII secolo. Sicuramente le sepolture con reperti erano tuttavia in origine ben più numerose, come si può evincere dal ritrovamento nel terreno di coltivo di pezzi provenienti da tombe saccheggiate in antico o distrutte dalle sistemazioni agrarie. Nel contesto generale le tombe con reperti appaiono decisamente concentrate nella metà occidentale della necropoli (73 corredi), mentre un piccolo gruppo è situato all’estremità orientale. Come osservato in altri cimiteri longobardi non emerge che vi sia relazione alcuna tra presenza, numero e qualità dei materiali e caratteristiche strutturali delle tombe.
E’ infine prevedibile che la perdita di numerose sepolture, cancellate dai livellamenti e la violazione di molte inumazioni (almeno il 30 - 40 % del totale conservato), attestata dal disordine evidente di vari corredi e dall’aspetto assolutamente scomposto e frammentario di molti scheletri, avranno conseguenze non secondarie sulla ricostruzione del modello funerario e della dinamica evolutiva della necropoli.
Gli oltre 300 reperti, dei quali sono attualmente in corso il restauro e lo studio, sono classificabili secondo le funzioni in sei gruppi principali: lame, finimenti metallici di cinture e corregge, oggetti d’abbigliamento e d’ornamento metallici, oggetti d’abbigliamento e d’ornamento non metallici, oggetti da toilette, arnesi d’uso domestico e quotidiano.
Dal punto di vista dei materiali costitutivi il raggruppamento più consistente, che conta oltre un centinaio di pezzi, è quello dei reperti in ferro rappresentato scramasax (4), coltelli, rasoi, finimenti spesso ageminati o incisi, guarnizioni di foderi, armille e vari altri oggetti minori. Alcune delle lame conservano tracce ben evidenti di materiali organici mineralizzati, pertinenti ad abiti, cinture, manici e a rivestimenti o foderature delle guaine. Seguono gli oggetti in bronzo, circa una settantina: finimenti di cinture e corregge, guarnizioni di foderi, armille, anelli digitali, vari oggetti da toilette, catenelle e monete tardoantiche (8) utilizzate come pendenti. Decisamente minoritari gli oggetti in argento, un passante e un rivestimento in lamina. Scarsi sono pure i vaghi di collane e di braccialetti in paste vitree monocrome e policrome.
Tuttavia i reperti più significativi, per numero e varietà, che rendono la necropoli di Monte S. Zeno un unicum in tutto il panorama lombardo, sono i pettini (ben 48) in osso o corno, monofilari e bifilari, spesso arricchiti da complesse decorazioni, fra i quali spicca un esemplare eccezionale lavorato a giorno con un motivo di arcatelle sorrette da colonette con capitelli.
Al di là dell’indubbio interesse per la conoscenza della cultura materiale e del costume funerario longobardi, la necropoli di Monte S. Zeno rappresenta un rinvenimento di grande importanza per la ricostruzione delle vicende del insediamento altomedievale monteclarense a ridosso del fiume Chiese che, fino a non molti anni addietro, era documentato archeologicamente solo da tre gruppi di sepolture, situati nella pianura poco a ovest delle colline e riferibili ad insediamenti ancora inseriti nelle maglie della centuriazione romana.
Il rinvenimento delle vicinissime necropoli delle Fontanelle e di S. Zeno lascia infatti intravedere la nascita, fin dal VII secolo, di un consistente abitato attestato sui rilievi meridionali del cordone morenico dominante il fiume. Tale nucleo, la cui posizione per il momento ancora ci sfugge, potrebbe coincidere o essere storicamente collegato al “castrum vetus” che un documento del 1185 pone sul monte di S. Zeno. Altrettanto plausibilmente la presenza di un insediamento durevole tra le due colline può aver ben costituito la ragione della fondazione delle chiese di S. Zeno e S. Giorgio sui colli omonimi. Della prima, ricordata nel 1167 e demolita nel 1830, i saggi archeologici eseguiti nel 2002 hanno individuato soltanto scarsi resti di fondazioni, forse riferibili ad un oratorio ad abside rettangolare e una sepoltura altomedievale.
Della seconda invece (già segnalata nel 1955)  una recente indagine del Gruppo Archeologico ha riconosciuto la navata, di cui sopravvivono nella stalla della cascina notevoli resti di murature altomedievali e romaniche, e nella cantina una cripta triabsidata di ampiezza e altezza ragguardevoli. Nel complesso la chiesa, che nel 1130 risulta pertinente al piccolo “monasterium” omonimo, appare quasi identica per impianto, dimensioni (mis. max 15 x 11 m) e per il profilo a semicerchio oltrepassato delle absidi, alle chiese del monastero di S. Salvatore a Sirmione (esistente nel 765) e di S. Benedetto in Brescia, menzionata nel 962 come pertinenza della domus urbana dell’ importante monastero regio di S.Salvatore – S. Benedetto di Leno.
In assenza di rinvenimenti significativi non sappiamo ancora se l’insediamento altomedievale delle colline monteclarensi fosse circoscritto ai soli monti di S. Zeno e S. Giorgio o si diluisse piuttosto anche a nord, sul monte di S. Pancrazio fino al centro storico attuale.
E’ tuttavia certo che nella seconda metà del XII secolo il nucleo abitato, già articolato in borghi, si era saldamente strutturato attorno al nuovo castello, posto all’apice nord del rilievo settentrionale, e lungo il pendio ovest del monte ai piedi della monumentale nuova chiesa plebana di S. Pancrazio, costruita ex novo verso il 1150.

Andrea Breda

 

Le campagne di scavo, dirette dallo scrivente, sono state tutte eseguite dal Gruppo Archeologico Monteclarense - che ne ha pure curato la documentazione sistematica - coordinato dal presidente P. Chiarini. Un cordiale ringraziamento va alle famiglie Faccio e Savoldi, proprietarie delle aree interessate dalle ricerche, per la costante disponibilità a consentire l’accesso ai terreni e a B. Rodella dello studio BAMS Photo di Montichiari che ha eseguito le numerose riprese aeree di tutte le campagne di scavo.


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