Villa Romana
Il sito, posto sui terrazzi alluvionali della destra idrografica del fiume Chiese, era stato da tempo localizzato, per la presenza in superficie di ceramiche e materiali costruttivi di epoca romana, da ricognizioni del Gruppo Archeologico Monteclarense. Pertanto, quando i livellamenti agricoli hanno messo in luce resti di strutture murarie su un'area di mq 300, si è intervenuti con uno scavo archeologico preventivo che ha individuato parte di un edificio rurale romano molto probabilmente esteso anche oltre la strada che fiancheggia la proprietà.
Le murature rinvenute sono pertinenti a due vani. Di uno, le cui dimensioni non sono ricostruibili, rimangono solo tratti di muratura in ciottoli legati da buona malta del perimetrale W e di una piccola abside semicircolare nonché lembi di preparazione pavimentale in ciottoli e malta.
Parallelo a questo vano e ad esso adiacente è un ambiente seminterrato di forma rettangolare (m 12,5 x 6,8 m) con murature conservate fino ad un massimo di m 1,2 di altezza, costruite con ciottoli disposti in filari regolari, intervallati da corsi di embrici di regolarizzazione. Le pareti interne erano rivestite in cocciopesto, mentre la pavimentazione, in base alle tracce lasciate nello strato di allettamento, pare fosse in embrici accostati. Uno scolo di drenaggio correva, al di sotto del pavimento, lungo l'intero perimetro interno, andando a convergere, con leggera pendenza, nell'angolo SW dove, attraverso un foro semicircolare ricavato in due lastre squadrate di medolo, scaricava a perdere nel substrato di ghiaino.
La cura riservata all'impermeabilizzazione e al drenaggio di questo ambiente per ricavarne un ambiente fresco ma asciutto, oltre alla presenza di frammenti di anfore di notevoli dimensioni, fa pensare che la sua funzione fosse connessa con l'immagazzinamento e la conservazione di derrate alimentari.
Una breve scala in muratura metteva in comunicazione con l'esterno attraverso una porta con chiusura a serratura, come dimostrano le chiavi in ferro rinvenute in situ. Tale porta dava su di una piccola corte, delimitata a E e a S dai due ambienti, forse dotata di porticato ligneo, come potrebbe attestare il rinvenimento di una buca di palo lungo il lato S.
In questo cortile si apriva un pozzo di forma circolare, indagato fino a m 7 di profondità senza peraltro raggiungerne il fondo, costruito a secco in grossi ciottoli di fiume, del diametro interno di m 1. La vera del pozzo era invece in blocchi di marmo di Botticino lavorato e modanato, come testimoniano alcuni blocchi, rinvenuti all'interno del riempimento.
Tutto il complesso, che pare corrispondere alla pars rustica della villa, era contornato ad W da un fossato di circa m 2 di larghezza, probabilmente destinato a drenare le acque pluviali.
Il rinvenimento in dispersione, di laterizi cilindrici per suspensurae e di un consistente numero di tubuli cavi rivela l'esistenza di una pars urbana dotata di impianto di riscaldamento centralizzato ad ipocausto. Alcuni ambienti possedevano inoltre un ricco apparato decorativo parietale, di cui possiamo solo in parte intuire la preziosità, grazie ad alcuni frammenti di intonaco dipinto rinvenuti nello scavo. Un numero significativo di tessere di mosaico bianche e nere, indica altresì la presenza di pavimenti a mosaico.
Il buon tenore di vita dei proprietari della villa, attestato dall'alta qualità architettonica e dal pregio delle finiture, non dissimili da analoghi esempi presenti nelle domus cittadine, ci informa dunque sull'alto livello sociale di alcuni degli abitanti della campagna in prossimità del fiume Chiese fra I e II sec. d.C..
E appunto il contesto cronologico è certamente il dato più interessante di questo sito. Se infatti la data di edificazione della villa, basata sui rinvenimenti di ceramica fine da mensa, ben si inserisce nel quadro storico di appropriazione delle campagne da parte dei ceti romanizzati, non altrettanto si può dire riguardo alla data in cui l'edificio cadde in disuso, alla fine del II sec. d.C., assai in anticipo rispetto alla media dei contesti simili noti.
Dopo l'abbandono l'edificio venne utilizzato come cava di materiale edile: lo dimostra l'assenza di strati di crollo degli alzati e di pavimentazioni in situ. Il rinvenimento, nell'area dell'ambiente absidato, di due malridotte sepolture a cassa prive di resti scheletrici, costruite con laterizi e lastre di recupero testimonia tuttavia una continuità di occupazione, attestata peraltro da scarsi reperti ceramici d'età tardoantica e altomedievale.
Un eventuale ampliamento dell'indagine nell'area oltre la strada potrebbe comunque chiarire se e per quali ragioni tutta la villa sia stata precocemente abbandonata o se il disuso e la demolizione abbiano interessato solo il settore finora scavato.
Ivana Venturini
Le ceramiche
I manufatti ceramici recuperati, quasi tutti appartenenti alle classi più rappresentate nei siti romani di prima età imperiale, provengono per lo più dallo scavo dei livelli di riempimento del vano seminterrato e, in quantità inferiore, da strati piuttosto superficiali in corrispondenza della struttura con muro absidato.
Si tratta dunque di materiali rinvenuti in deposizione secondaria, ma orginariamente accumulatisi nei livelli delle fasi d'uso dell'edificio.
Le classi quantitativamente più rappresentate sono quelle ascrivibili alla ceramica da fuoco (olle ad orlo estroflesso, gola marcata e corpo globoso, a volte con due prese a linguetta sulla spalla; coperchi con orlo indistinto, corpo tronoconico e presa a disco; tegami in ceramica a vernice rossa interna; catini-coperchio a corpo troncoconico tutti in ceramica comune grezza), alla ceramica per la preparazione dei cibi (coppe grattugia con beccuccio versatoio e corpo carenato in ceramica comune depurata) e da mensa (piatti e coppette in ceramica a vernice nera e in terra sigillata italica: rispettivamente presenti, fra le altre, nelle forme 5 e 5/7 e nei tipi Dr. 16, Dr. 17b e Dr. 24/25; vasi potori in ceramica a pareti sottili, con decorazione a rotella, à la barbotine o a sabbiatura; olpai di varie fogge e ciotole ad orlo rientrante, in ceramica comune depurata).
In minor numero, riguardo agli esemplari conteggiabili ma non al volume di ingombro dei frammenti, è presente la ceramica da dispensa, rappresentata esclusivamente da anfore, tutte di produzione italica (riconoscibili i tipi Dr. 6a, Dr. 6b e Dr. 2/4). Scarsissima è la ceramica da illuminazione: tre soli frammenti di lucerne con due di esemplari a disco verniciati. È da sottolineare la totale assenza di ceramiche di importazione.
Quasi tutti i materiali ceramici sono databili ad un periodo compreso tra il I e il II sec. d.C.. I soli pezzi più tardi, genericamente ascrivibili al VI - prima metà VII sec. d.c., sono tre frammenti di coperchi con corpo carenato in ceramica comune grezza ed un frammento di vaso a listello in ceramica invetriata
Altra testimonianza delle attività domestiche è data dal ritrovamento di un ago in osso lavorato e di una fusarola fittile di forma discoidale.
Brunella Portulano
Lo scavo, coordinato da A. Breda della Soprintendenza Archeologica e diretto da I. Venturini, è stato eseguito dal Gruppo Archeologico Monteclarense che ha curato anche le restituzioni grafiche. Si ringraziano per la disponibilità il proprietario dr. Albini e l'affittuario sig.
Ferrari.