Ricordare Virgilio e i pianti bucolici provocati dalla centuriazione?
Entriamo in un palazzo rurale che conobbe fortuna al tempo di Cristo
Acqua corrente, impianto di riscaldamento e pareti d'intonaco finissimo.
Attorno a questa villa, incasellata nel reticolo della centuriazione romana, s'apriva un paesaggio di minuscoli dossi densi di vegetazione che si perdevano sul ciglione del Chiese.
Bastava salire al primo piano della casa, oltrepassando le foglie lobate del querceto, per osservare più ad Ovest cascine poste agli angoli di un'ampia scacchiera. Nelle radure i pastori vigilavano gli armenti, quelle greggi che avrebbero brucato nell'ampia dimensione del latifondo, estinguendo progressivamente gli effetti della centuriazione e nei campi il lavoro ferveva.
Le donne cuocevano il pane nel forno, della villa, sul lato delle rustiche pertinenze colme di animali da cortile.
I tessuti rustici venivano prodotti in loco, con l'uso dei telai che qui non mancavano, come dimostrano i pesi trovati in analoghe abitazioni della zona.
E i padroni? Cacciavano, organizzavano cene, contemplavano, l'estensione del paesaggio da un'evidente superiorità archittettonica. Controllo lieve, progetti venatori - i cervi s'abbeveravano nel fiume - e incontri serali con i possidenti vicini. Alle loro spalle, s'aprivano le stanze decorate, si spalancava, al pianoterra, la sala dotata di un abside e presumibilmente di un pavimento fitto di mosaici, forse con figurazioni in tessere bianche e nere, com'era uso nelle abitazioni di campagna che non potevano competere con il colore ricco dei pavimenti urbani, tesi all'occupazione della più vasta gamma cromatica e geologica.
Quando gli antenati dei proprietari di casa giunsero qui, dopo l'ottantanove avanti Cristo, in seguito alla suddivisione territoriale della colonia, il minuscolo rilievo, posto forse all'incrocio dei limites - in quel plot di linee ortogonalmente tracciate dagli agrimensori romani - offriva pietra e legname per la costruzione di una struttura non, ricchissima, comunque per una casa molto migliore rispetto a certi tuguri della tradizione rurale romana, che addensavano attorno al graticcio paglia e fango da vespaio.
E allora viene da chiedersi chi mai fosse il fondatore di questa residenza, chi, con un sacrificio rituale, avesse aperto il terreno alla posa della prima fila di pietre. Giunse qui un veterano di Roma (come potrebbe far pensare la vicinanza della villa al confine mantovano) oppure il campo fu semplicemente assegnato ad un colono latino di Brescia, ad un “cenomane” riciclato nel grande apparato della romanità?.
Le evidenze storiche portano a considerare la seconda ipotesi. La città fu riconosciuta come colonia latina fittizia cioè, per riprendere una definizione di Gabba, “non vi era deduzione di nuovi coloni, ma i precedenti insediamenti venivano trasformati in coloniae latinae con un loro completo rinnovamento urbanistico in senso romano, mentre i territori delle varie comunità erano organizzati con la centuriazione agraria”.
Gli agrimensori, con strumentazioni precise, avevano suddiviso il territorio in una “battaglia navale” di unità fondiarie quadrate (le centurie) ognuna delle quali aveva un lato di 710 metri per una superficie di 200 iugeri. Quindi era giunto il momento della consegna, che rendeva generalmente consono il numero di quadrati alla posizione sociale occupata dall'assegnatario.
Qualcuno comunque soffrì l'ordine nuovo. Sotto queste costellazioni geometriche, nei dintorni del Mincio fiume parallelo, Virgilio rievocava la durezza deIle centuriazioni militari con la voce commossa del pastore Melibeo. E ne ricordiamo il canto estenuato, che si trascina per ampi spazi, attorno alle case dei veterani e ai sandali degli autoctoni fuggitivi: “Titiro, sicuro tu giaci sotto i rami ampi del faggio e componi un canto silvestre col flauto sottile e noi queste dolci campagne lasciamo, in fuga dalla patria”. E più in là: “Di noi chi migrerà nell'arida Africa chi nella Scizia o a Creta presso il rapido Oàxe e chi tra i Britanni divisi dal mondo. Quando mai potrò rivedere la patria, il tetto della mia povera casa fatta di zolle? Un empio soldato avrà questi campi così coltivati un barbaro avrà queste biade!”.
Anche al colono di Montichiari spettò inizialmente un'abitazione dimessa. Ma Cerere, a Montichiari, era sorta rapidamente dal fondo del fiume e le pietre, che sbucavano candide tra la vegetazione bassa delle rive, avrebbero presto segnato il nucleo di una nuova e comoda residenza.
Per ora le ricerche si sono svolte su una superficie limitata, un'area che non consente di conoscere la reale consistenza della villa, ma la presenza dell'abside, dell'ipocausto - la camera d'aria che consentiva il riscaldamento della villa, presumibilmente priva di vetri come buona parte degli edifici dell'epoca, gli intonachini finissimi stesi sulle pareti – gessosi spessi quanto il materiale che viene oggi inserito tra le nostre mattonelle - e tracce di decorazioni murali - linee che transitano come lapilli, su un fondale rosso pompeiano - sono testimonianza di ambienti di una certa ricchezza, per quanto ruralissima fosse la vecchia radice.
Le indagini condotte dal Gruppo archeologico monteclarense e dalla Soprintendenza archeologica (Nucleo operativo), hanno permesso di stabilire una continuità abitativa della villa tra il primo secolo a.C e il primo dopo Cristo. Il parallelo con altre residenze della zona compresa la villa di Monzambano - ci permette di immaginarla elegantemente dotata di un porticato e di un compluvium, con vasca-giardino interna.
Evidente invece, come dicevamo, è la presenza dell'impianto di riscaldamento: il pavimento innalzato dai cerchi ceramici delle suspensurae, permetteva di far correre nell' intercapedine il flusso del fumo caldo che intiepidiva la stanza e che forse estendeva il fiato ad alcune pareti. (Fu però, come vedremo più avanti,“un impianto tecnologico “scarsamente utilizzato).
Le tracce di canalizzazione consentono di pensare che la zona della villa disponesse d'acqua corrente, tratta più a nord dal Chiese.
Poi, come accadde per altre residenze, ecco un abbandono improvviso, traumatico per la vecchia struttura. “Abbiamo trovato i segni inequivocabili dell'abbattimento dei muri - dice Paolo Chiarini, presidente del Gam di Montichiari - Nel materiale di riempimento dello scavo sono evidenziabili laterizi rotti e frammenti di materiale dell'epoca. La successiva copertura dei resti strutturali è stata provocata presumibilmente da lievi smottamenti, come dimostra l'angolo assunto dal terreno.
Il reticolo di viIIe nella Bassa
L a villa di Montichiari, I secolo a.C. - I secolo d.C., è stata individuata recentemente dagli uomini del Gam, il gruppo archeologico monteclarense. I resti dell'edificio si trovano in un terreno agricolo coltivato a granoturco, in località Santa Cristina, a Sud del paese. Lavori rurali di livellamento hanno permesso di notare in superficie materiale interessante.
Il proprietario del fondo, dott. Albini, ha immediatamente dato la più ampia collaborazione agli archeologi. Nella zona della Bassa orientale le ville romane sono una trentina. La villa rurale di Montichiari, località S. Cristina, sorgeva nei pressi del fiume Chiese, su un piccolo dosso, come appare evidente dal disegno dell’illustratore Mauro Perini. Un piccolo canale tratto dal fiume Chiese forse consentiva di disporre d’acqua corrente. L’edificio, come testimoniano gli elementi strutturali messi in evidenza dallo scavo nonché altri reperti ( parti di intonaco di pinte e decorate), doveva essere caratterizzato da una certa eleganza. Disponeva del consueto sistema di riscaldamento che appare nelle case romane di un certo rilievo, sistema che qui non è stato utilizzato in modo massiccio, vista la mancanza di bruciature notate dagli archeologici ( ciò, come scriviamo qua sotto, può essere indizio di esclusiva permanenza estiva dei proprietari).
Una diffusa tipologia d’epoca ci ha consentito di inserire “ pur in attesa di una conferma che verrà dalla prosecuzione degli scavi” un porticato. L’edificio ( del quale vediamo i resti in una fotografia aerea) fu distrutto nel I° secolo d. C. e il materiale venne presumibilmente riutilizzato in un’altra residenza della zona. Il sistema “ reticolare” delle ville romane entrò presumibilmente in crisi con lo sviluppo del latifondo che ridusse la permanenza sul territorio e la necessità di presidi rurali dediti all’agricoltura specializzata.
L'organizzazione della casa e la permanenza del signore a Montichiari: la mancanza di fiammate nell'ipocausto lascia pensare a una frequentazione estiva
E un fattore latino percorre a lunghi passi il porticato
L'arredamento delle case romane, quanto a mobilia, era certo ”spartano” e la sontuosità era semmai testimoniata, all'epoca della villa rurale di Montichiari, dall'uso di ricche stoffe e di cuscini, suppellettili, bicchieri di vetro morbidamente azzurrino. L'elemento di continuità era rappresentato dal letto che, com'è ben noto, passava tranquillamente, con metamorfosi ovidiana della linea e delle decorazioni, dalla camera del riposo alle stanze da pranzo. Gli sgabelli costituivano un'altra presenza ben documentata da numerosi testi letterari dell'epoca.
Le porte erano piuttosto spesse e dotate di serratura che, anche nella zona della Bassa bresciana, disponevano di serrature dotate di grosse chiavi a pettine. Per creare un'analogia che probabilmente non è molto distante dalla realtà, possiamo pensare che la vita nelle maggiori ville rurali latine contenesse in luce gli elementi caratteristici del nobili ” villeggiare” che troviamo nella nostra cultura, a partire dalla seconda metà del sedicesimo. Il soggiorno dei proprietari si limitava pertanto al periodo dei raccolti - ed è forse per questo che a Montichiari gli archeologi non hanno trovato segni di bruciature nell'impianto di riscaldamento dell'ipocausto; i fondi erano condotti da un fattore e in periodi di permanenza rurale del signori coincidevano presumibilmente con l'estate. Un elemento storico importante ci porta a considerare la possibilità di una distribuzione difforme della terra centuriata bresciana. Se infattl le colonie romane erano caratterizzate da una distribuzione egualitaria dei terreni, quelle latine erano contrassegnate da un'assegnazione piramidale degli spazi. Ciò significa che diverso il numero dei “quadratini” di terreno - diviso, come vedremo nella pagina successiva, secondo il criterio della centuriazione - veniva assegnato agli equites, i cavalieri, e ai pedites, i fanti “Assegnazioni troppo ampie a coloni della classe inferiore affermano gli studiosi - venivano in genere evitate anche perchè i coloni non potevano disporre di quei capitali necessari a condurre un'azienda che non fosse a gestione strettamente familiare “
L'edificio monteclarense non sarebbe certo, almeno secondo gli indizi offerti dal primo scavo, una minuscola casa per una piccola famiglia di agricoltori. Molto probabilmente la villa disponeva una pars urbana (l'abitazione dei proprietari segnata dall'abside) e di una pars rustica e fructuaria (l'insieme degli alloggi della manodopera, degli impianti di produzione, dei magazzini per i prodotti agricoli).
M.Bernardelli Curuz