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Adelaido Pastelli e Gaetano Bonoris: l’incredibile matrimonio d’interesse fra il sindaco di Montichiari ed il ricco ereditiere.
 
Adelaido Pastelli e la Rocca di Montichiari Adelaido Pastelli e la Rocca di Montichiari (499 Kb)  
   
18 novembre 2013

Adelaido Pastelli e Gaetano Bonoris: l’incredibile matrimonio d’interesse fra il sindaco di Montichiari ed il ricco ereditiere.

Il notaio Osvaldo Pastelli fu sindaco di Montichiari dal 1886 al 1902. Fu amico e socio in affari del Conte Gaetano Bonoris (si occupava non solo dei rogiti ma anche delle mediazioni nelle compravendite di immobili del Conte).  Attorno all’anno 1890 il Bonoris ebbe buon gioco nell’offrire all’amico Pastelli, appassionato di musica nonché di opera lirica, un teatro tutto nuovo (in verità erano le strutture del piccolo teatro Arnoldi di Mantova che aveva già preparato smontato da tre anni probabilmente in accordo con il sindaco) più una modesta cifra alla società dei palchettisti in cambio della cessione dell’area della Rocca Medioevale di Montichiari.
Il Pastelli si fece in quattro per far passare il progetto del Bonoris in consiglio comunale mentre dichiarava alla stampa che la “Rocca era diruta” ed andava restaurata. E’ ormai noto a tutti che il Bonoris una volta acquisita l’area demolì completamente l’edificio della rocca e il Pastelli non mosse ciglio per difendere il castello medioevale, il “Palatium” e la chiesa romanica di San Tommaso che erano tutt’altro che cadenti. ( ved. documentazione fotografica allegata).
A dire il vero risulta molto strano l’apprezzamento sproporzionato che le gesta di Gaetano Bonoris trovano qui a Montichiari tanto da considerarlo tout court un mecenate ed un benefattore disinteressato. L’ultimo e più recente sfregio alla storia monteclarense è stato quello di mutare il nome del nostro teatro da “Sociale” a “Bonoris”. Sembra quasi che accanto alla lodevole volontà di qualcuno di finanziare ricerche storiche sul personaggio e di riunirle in un volume, poi questi non trovi il tempo di leggerne in maniera approfondita il contenuto. Diciamo subito che il conte alla sua Morte avvenuta il 19-12-1923 nel testamento non lascia nulla al comune di Montichiari e nemmeno gli passa per la mente di restituire alla comunità il sito della Rocca che egli aveva acquistato per pochi soldi per poi costruirvi la propria dimora a guisa di castello. Anzi la sua dimora Castello passò al cugino di secondo grado Ercole Soncini e fu l’unico bene che il Conte restituì alla famiglia diseredandola della immensa fortuna che egli a sua volta aveva ereditato. Giustizia avrebbe voluto che  il Bonoris, non avendo figli, avesse scelto un erede in famiglia che ne avesse sostenuto le fortune per le future generazioni così come Lui le aveva avute dai suoi genitori sommate a quelle degli zii e zie. Qui a Montichiari invece lo si vuol far passare per “novello San Francesco” che giunto al termine della vita dona tutto ai poveri, pardon alla Fondazione Gaetano Bonoris presso la Congrega della Carità Apostolica di Brescia ed una briciolina alla congregazione di Carità di Montichiari. Inconsueta e senza un’apparente spiegazione rimane quanto predispose nella postilla alle sue ultime volontà redatta in data 29 marzo 1923: “Tutte le mie carte personali ovunque esistenti non aventi rapporti con l’amministrazione della Fondazione saranno a cura del mio amministratore ed esecutore testamentario Sig. Bindo Azzali ritirate ed immediatamente bruciate”. Vien da chiedersi cosa c’era da nascondere in quella documentazione tale che un uomo in fin di vita decreta cosi freddamente e selettivamente di eliminare a favore della Fondazione. La Fondazione fra l’altro ha sede a Brescia e non a Montichiari per cui rischiamo di essere come coloro che festeggiano la vincita milionaria al lotto di un compaesano senza nemmeno sapere chi è. Certo l’esito della causa, che si protrasse fino al 1948, in cui la cassazione diede torto ai Sivelli assicurando alla Fondazione Bonoris tutta l’eredità del Conte non basta a togliere ogni dubbio su come siano andate veramente le cose. I Sivelli infatti, un ramo della famiglia Bonoris, erano convinti che il Conte avesse redatto le sue ultime volontà in condizioni di infermità mentale e certamente non da solo.
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