Archeologia: i volontari e le urgenze della tutela
Il rinvenimento e lo scavo di una villa romana
nel comune di Montichiari da parte del Gruppo archeologico monteclarense fornisce un buon esempio del contributo essenziale dei gruppi del volontariato nel controllo del territorio, oggi esposto agli stravolgimenti delle nuove tecniche di coltura dei campi.
L'archeologia è qui, ora; e soprattutto ha fretta .
Riguardo al "qui ed ora", e al fatto quindi che non sia necessario viaggiare in terre lontane per trovare degli archeologi al lavoro, i lettori di AB hanno avuto in questi anni diverse occasioni di divenire consapevoli nei numerosi articoli che la rivista ha dedicato all' archeologia bresciana. Anche nel numero speciale del 1991 Archeologia archeologie si era voluto dissipare l'immagine stereotipata dell' archeologia come caccia a grandi tesori sepolti, e si erano affrontati le principali questioni metodologiche della disciplina.
Ora è della fretta, dell'urgenza che vogliamo parlare. E mostrare quanto sia vitale per la tutela e la ricerca archeologica il ruolo delle associazioni di volontariato organizzato diffuse sul territorio, in quello che è un tentativo a volte estremo di salvaguardare le testimonianze materiali del nostro passato che nell'immediato futuro rischiano di andare irrimediabilmente distrutte.
Nel Bresciano sono infatti vari e qualificati i gruppi che operano in collaborazione con la Soprintendenza archeologica della Lombardia. Abbiamo scelto di seguire i più attivi e di farci raccontare i risultati più recenti, nella consapevolezza che è solo grazie alla loro passione se molto del patrimonio archeologico a rischio ha potuto trasformarsi in conoscenza, in vivida storia locale.
Identikit del Gruppo archeologico monteclarense
Il Gam, nato in modo assolutamente spontaneo nel 1986, ha il suo promotore in Paolo Chiarini, attuale presidente, che riesce con il proprio entusiasmo a catalizzare la curiosità e l'interesse di molti per il proprio passato. Si forma così un gruppo composto da Luigi Cherubini, Daris Baratti, Angelo Fenaroli, Giovanni Romano, Pierangelo Zanini, Giovanni Chiarini ed altri che rapidamente organizzano le attività e fanno crescere il Gam soprattutto dal 1989.
Il miglioramento professionale è merito della costante presenza di Andrea Breda, archeologo del Nucleo operativo di Brescia della Soprintendenza lombarda, il quale garantisce tuttora il collegamento con l'autorità statale.
Attualmente il Gam, la cui sede è in corso di ampliamento per tenere il passo con le numerose attività del gruppo, conta più di 50 iscritti. Circa 30 soci collaborano alle attività, coprendo a vario titolo i momenti di uno scavo archeologico, dall'individuazione dei siti alla pubblicazione dei dati ottenuti.
Tra i diversi motivi di orgoglio del gruppo, uno dei più interessanti è indubbiamente 1'archivio informatizzato di cui si è dotato, nel quale sono raccolti i dati
di oltre 80 siti (contro i due noti a Montichiari prima che il Gam nascesse). Ultimamente è stata affinata la tecnica del rilievo fotografico con il pallone aerostatico, ciò che ha permesso di infittire le collaborazioni con altri gruppi.
Il Gam ha un proprio statuto, è riconosciuto dalla Regione Lombardia, ed è convenzionato con vari enti pubblici, parte dei quali lo sostiene anche finanzia¬riamente (in primis il Comune di Montichiari).
Sottolineiamo infine che il gruppo ricerca costantemente il contatto con il pubblico tramite lezioni di archeologia e visite guidate ai siti, che regolarmente vengono organizzate per le scolaresche e per i cittadini al fine di divulgare i problemi (tanti) e le gioie (di più) di chi fa archeologia in prima persona. Il Gam è una realtà aperta, e ama i curiosi: chi vuole saperne di più può telefonare al n. 962724.
Dalla ruspa agli archeologi
La nostra panoramica si apre con l'ultimo sforzo del Gam (Gruppo archeologico monteclarense): lo scavo di una residenza rurale romana in località S. Cristina a Montichiari, un' operazione che, sabato dopo sabato, ha assorbito parecchi mesi di lavoro da parte di una decina di soci del gruppo.
Il sito era già sotto osservazione, in quanto il Gam stesso ne aveva individuata anni or sono la potenzialità grazie alla ricerca di superficie. Cosi, quando per le moderne esigenze agricole una ruspa ha iniziato l'opera di livellamento del campo, i volontari del Gam non si sono fatti trovare impreparati, e hanno seguito l'azione della pala meccanica. Allorché, in breve tempo, si sono raggiunti i resti murari romani, il ritrovamento è stato segnalato alla Soprintendenza e la parola è passata agli archeologi.
È stato subito chiaro che non si sarebbe potuto mettere in luce tutto lo sviluppo planimetrico della villa, perché parte di essa si trova sotto ed oltre l'attuale strada, verso la chiesetta di S. Cristina. Per ora sono stati scavati estensivamente due vani: di uno, con ampi lacerti delle preparazioni pavimentali, si conserva solo una muratura semi circolare di abside, e questa sua forma particolare è il primo esempio noto nella zona. L'altro vano era un seminterrato di forma rettangolare, di circa 85 metri quadrati, al quale si accedeva per mezzo di una breve scala. Il suo perimetrale è conservato fino ad un'altezza di un metro e venti, una misura per nulla trascurabile se confrontata con altre situazioni note nella nostra pianura.
I frammenti rinvenuti di ceramica fine da mensa hanno dimostrato che perlomeno questa parte della villa venne edificata alla fine del I° secolo a.c. ed abbandonata nel II° d.C. L'abbandono, precoce rispetto alla media dei contesti simili noti, è senza dubbio il dato più interessante di questo sito. Una volta in disuso, l'edificio venne subito utilizzato come cava di materiale edile: anche i pavimenti vennero asportati e, in base alle tracce lasciate nello strato di alloggiamento, pare fossero ora ad embrici accostati, ora mosaicati (alcune tessere bianche e nere sono state rinvenute sparse). Un'altra prova evidente dell'abbandono dell' area è costituita da due sepolture, ricavate negli strati del materiale residuo dell'ambiente absidato, e le cui casse, costituite di laterizi e lastre di medolo lavorato, erano state assemblate con materiali recuperati.
La villa era dotata di un sistema di riscaldamento ad ipocausto, ossia ad aria calda circolante sotto i pavimenti e nei muri, come testimoniano i numerosissimi frammenti di tubuli cavi laterizi. Molti resti di intonaci murari dipinti costituiscono poi le residue tracce di un ricco apparato decorativo parietale. Si tratta purtroppo solo di frammenti, bastanti comunque ad illuminarci sulle condizioni di vita di alcuni degli antichi abitanti della campagna attorno al fiume Chiese.
La somma di questi elementi attesta quindi la presenza di una pars urbana della villa, le cui finiture sono indizio di una qualità architettonica analoga a quella delle domus cittadine, ed indicano che il livello sociale dei suoi abitanti era piuttosto alto. La villa di S. Cristina di Montichiari non è comunque un caso isolato: insediamenti di questo tipo erano capillarmente diffusi in epoca imperiale in tutta la pianura, come dimostrano, tra le molte nelle vicinanze, le ville rurali individuate sul monte del Generale a Montichiari, a Nuvolento, a Remedello, a Calvisano, a Monzambano.
Nelle vicinanze dei vani scavati è stato anche individuato un pozzo, indagato sino a sette metri di profondità, la cui struttura era in grossi ciottoli di fiume. Del pozzo, in parte crollato su se stesso, si è conservata la vera (il parapetto circolare) in marmo di Verona che, seppure spezzata, mostra evidente la consunzione causata dal ripetuto sfregamento della corda del secchio.
Tutto il complesso era poi contornato ad ovest da un fossato che probabilmente drenava le acque pluviali.
Topograficamente questa villa rurale, che si aggiunge a numerose altre localizzate , e in parte sondate in questa zona dal Gam, pare inserirsi in una maglia centuriale regolare che sta assumendo una forma sempre più definita man mano le ricerche proseguono.
Il ruolo dei volontari
Lo scavo, coordinato da Andrea Breda, funzionario della Soprintendenza e dall' archeologa professionista Ivana Venturini, è stato interamente gestito e condotto dal tenace e preparato gruppo di volontari del Gam, cioè da persone che professionalmente si occupano di tutt'altro, ma che con passione e curiosità aspettano il sabato per dimostrare che la voglia di cultura e di storia non si ferma alla pur lodevole lettura di pubblicazioni riguardanti ricerche svolte da altri.
Un desiderio di conoscere e di impegnarsi che, come si diceva, si rivela davvero provvidenziale per la tutela del patri¬monio archeologico, stante 1'attuale crisi finanziaria ed umana dello Stato. Negli ultimi decenni infatti le Soprintendenze d'Italia hanno visto aggiungersi alla loro storica ed endemica insufficienza finanziaria ed organizzativa anche 1'oggettiva impossibilità di tenere sotto controllo, da vicino e con la necessaria tempestività, le enormi trasformazioni alle quali il territorio è stato ed è violentemente sottoposto. L'incontrollata crescita postbellica, con gli stravolgimenti dei centri storici ed i massicci ampliamenti urbanistici, con l'imponente sviluppo del sistema stradale e con la meccanizzazione sempre più accentuata in agricoltura, ha distrutto innumerevoli depositi archeologici.
Quella connessa alle moderne tecniche di coltivazione, in particolare, deve considerarsi un' emergenza assoluta, tale da mettere a repentaglio i giacimenti archeo¬logici di intere regioni. Anche nella pianura bresciana i livellamenti agricoli e le arature profonde, adottati da non molti anni per assicurare una più efficiente resa economica, procedono senza sosta: in mancanza di un'adeguata mobilitazione di energie da parte degli enti preposti alla tutela, nel volgere di pochissimo tempo le tracce del passato di larga parte del nostro territorio saranno cancellate per sempre.
Le segnalazioni sporadiche sono preziose, ma non bastano per una tutela davvero efficace. Se poi aggiungiamo a tutto questo che la legislazione in materia di tutela è sostanzialmente ancora quella del 1939, il risultato non può che essere sconfortante.
In questo quadro, il ruolo dei gruppi del volontariato si rivela prezioso e strategico. Oltre a controllare costantemente il territorio e segnalare la presenza di siti, i gruppi contribuiscono infatti a diffondere una sensibilità, un clima di favorevole attenzione verso le testimonianze del nostro passato: una sensibilità e un clima che non sempre le Soprintendenze, costrette nel loro operato dai vincoli di legge, riescono a conseguire.
Inoltre, grazie alla disponibilità operativa gratuita che sanno mettere a disposizione, i gruppi in molti casi contribuiscono a ridurre grandemente i tempi dell'intervento archeologico, smentendo così la convinzione diffusa e spesso motivata che quando ci si imbatte in reperti antichi i tempi di attesa per proseguire i propri lavori siano destinati a divenire "geologici".
Dario Gallina