Uno straordinario rinvenimento a Montichiari
Nel 1988 la nostra attenzione si concentrò su alcune tracce di frequentazione antica che affioravano sull'aratura nel campo antistante la c.na Fornace Bianca che sorge a lato della Comazoo, nonché nell'appezzamento, di proprietà anche questo della signora Albini, che confina col retro del mangimificio stesso.
Entrambi i siti erano chiaramente attribuibili all'età romana, ma il primo sembrava al momento il più interessante poiché restituiva tantissimi frammenti ceramici e per di più concentrati in pochi mq di superficie.
E qui, nella primavera del 1989, organizzammo una ricerca sistematica che culminò nell'esecuzione con lo scavatore di saggi in profondità su un'area di circa 5000 mq; ciò permise di delimitare con precisione la zona archeologica, circa 40 mq posti sul lato nord-ovest della melonera degli Zanetti e di procedere allo scavo.
Alla fine recuperammo fino ad una profondità di 0,8 mt, frammisti a ciottoli ed a rotture di embrice, materiale ceramico, di vetro, bronzo e ferro risalente al I° sec. d.C. (a).
Non fummo in grado però di capire il senso del deposito archeologico, cioè se fossero i resti di qualche struttura (tomba od altro) demolita in seguito a qualche evento distruttivo, oppure materiale di scarto pertinente qualche insediamento esistente nelle vicinanze.
Allora si fece anche l'ipotesi che in questo punto, ricalcando il percorso della roggia S. Giovanna, potesse passare in epoca romana una strada che doveva collegare, passando sul limitare del terrazzo fluviale, la villa rustica di S. Cristina con quella del Centro Fiera e della Colombara Monti.
Quest'ultima del resto si trova adiacente la vecchia strada Ghedi-Montichiari che orientata est-ovest si affaccia sul fiume Chiese nel punto dove si trovano i resti del ponte vecchio, già scavato dal Gam nel 1992.
D'altronde il ponte, che è sicuramente presente in epoca medioevale, potrebbe anche avere origini romane; ma questo è ancora da dimostrare.
Nel mese di aprile '95, all'interno della recinzione del mangimificio Comazoo, a nord-est dei fabbricati attuali, si effettua un profondo sbancamento ove porre le fondazioni per i nuovi silos per il mais.
Un ostacolo inconsueto si oppone alla pala dello scavatore che non può penetrare con la solita facilità nell'inconsistente ghiaione alluvionale.
Con grande sorpresa che si trasforma a poco a poco in concitazione, gli addetti ai lavori portano alla luce quattro enormi blocchi di marmo bianco lavorato.
L'eccezionalità dell'evento è tale che in breve tempo la notizia arriva nelle sedi competenti e sul posto si dirigono il Dr. Andrea Breda della Soprintendenza ai beni archeologici ed i soci del Gruppo Archeologico di Montichiari.
Ha inizio così l'analisi del contesto del ritrovamento.
La lettura della stratigrafia evidenzia che da O mt a 0,8 mt il ferretto era già stato sostituito dall'inerte riportato ancora all'epoca della prima edificazione dei silos; da 0,8 mt a 2,5 mt di profondità vi è un deposito omogeneo di ghiaione con una dispersione rada ma tangibile costituita da rotture di laterizi antichi, in gran parte embrici.
Dal racconto degli addetti allo sbancamento, i reperti litici erano ammucchiati in quest'ultimo strato quasi fossero elementi componenti un'unica struttura caduta su se stessa.
Già perché si effettuò il loro recupero prima ancora dell'arrivo dell'archeologo, depositandoli poi in un angolo del piazzale dove si trovano tuttora.
La ricostruzione, per ora teorica, della struttura è stata eseguita in base alle impronte, alle geometrie ed agli incastri.
Si tratta di un monumento funerario in pietra di Botticino del peso di circa 120 ql, che misura alla base 2,12 x 1,78 mt ed ha un'altezza di mt 2,96.
Il piedistallo è formato da tre pezzi che si elevano verso l'alto formando tre gradini a simmetria rettangolare; sopra questo poggiava l'ara.
Quest'ultima ha dimensioni di tutto rispetto, un'architettura nè troppo semplice nè elaborata ma che si caratterizza per la linearità e la geometricità della forma.
Poiché l'ara era posta al centro della sua base di appoggio, se ne deduce che il monumento funerario si trovava probabilmente all'interno di un'area sacra ed era visibile da tutti i Iati.
L'ara vera e propria invece possiede un retro spoglio ed un frontespizio con questa iscrizione
L(ucius) Gnatius /Germanus / Pob. (lilia) sexvir
E sulle due volute:
V(ivus) F(ecit)
che significa che questo personaggio romano si chiamava Lucius (praenomen) Gnatius (appartenente alla gens Gnatia) Germanus (cognomen), era un membro della Tribus Poblilia (la tribù di Verona) ed era un sexviro, inoltre aveva costruito la sua tomba ancora da vivo (vivus fecit).
Ora l'iscrizione occupa poco più della metà dello spazio disponibile a questo scopo e mancano ad esempio certe indicazioni quali gli anni di vita, la grandezza dell'area sacra ed altre cose che si possono aggiungere ovviamente dopo la morte.
Da un altro punto di vista possiamo osservare che il limite del terrazzo fluviale si trova qualche metro più ad ovest.
Se ne deduce, ricordando il contesto stratigrafico del ritrovamento, che una eccezionale alluvione del fiume Chiese ha compromesso in parte o totalmente l'area sacra facendo rovinare il monumento a 2/2,5 mt di profondità e sotterrandolo poi quasi totalmente.
L'acqua in questo punto deve essere passata per parecchio tempo poiché si nota in qualche punto sulla pietra un'evidente erosione con superficie lisciata.
È da scartare l'ipotesi dell'affondamento durante il trasporto poiché l'impronta della sagoma inferiore dell'ara è evidente sul monolito a gradini e quindi doveva essere in posizione già da tempo.
Gli esperti di epigrafia fanno risalire la costruzione del manufatto al l° sec. d.C.; si potrebbe avanzare quindi l'ipotesi che Lucius Gnatius Germanus non sia nemmeno riuscito a farsi seppellire in questo punto a causa di una straordinaria esondazione avvenuta quando lui era ancora vivo e considerando che l'iscrizione, come detto sopra, potrebbe non essere completa.
Era consuetudine in quel tempo costruire i sepolcreti ai lati delle vie di accesso ai paesi (vici), ai villaggi (pagi), alle villae (fattorie) oppure presso i santuari agresti.
Erano situati comunque in luoghi di intenso passaggio dove le iscrizioni potevano essere lette con facilità dal pellegrino ma costituivano altresì una testimonianza continua per i parenti ed i locali.
E questo era un valore culturale fondamentale per la comunità romana, poiché il nostro L. Gnatius Germanus si preoccupa di costruirsi la tomba quando è ancora vivo e già può incidere sulla pietra che egli è un sexviro, carica onoraria in ambito municipale e delegata a diffondere l'immagine dell'imperatore.
Chiarini Paolo (pres.Gam)