Il Gruppo Archeologico di Montichiari ha recentemente avuto in consegna reperti di straordinario valore storico che gettano nuova luce su un periodo ancora poco conosciuto a Montichiari e nei comuni limitrofi.
La cultura di La Tène, dal nome del villaggio svizzero dove venne alla luce il primo grande ritrovamento nel 1857, si originò nel VI sec. a.C. e si diffuse in gran parte dell’Europa ( Francia, Inghilterra, Irlanda, Germania, Austria, Svizzera, Ungheria, repubblica Ceca e Italia del Nord) raggiungendo il suo massimo sviluppo nella tarda età del ferro (450-50 a.C.). Questa cultura è propria delle genti Celtiche o Galliche che a partire dal V sec. a.C. dal centro-Europa migrano verso occidente alla ricerca di territori nuovi e maggiori risorse per una popolazione ormai numericamente troppo cresciuta.
I Celti attraversano le Alpi nel 388 a.C. e occupano in successive ondate l’Italia nord-occidentale (Insubri), la Lombardia orientale (Cenomani), l’Emilia (Boi), la Romagna e le Marche (Senoni), giungendo fino a saccheggiare Roma nel 366 a.C..
Tutte queste popolazioni galliche si trovarono a fronteggiare per lungo tempo l’espansione romana verso la pianura padana, intrecciarono soprattutto nel periodo iniziale relazioni politiche e commerciali con il mondo etrusco e greco.
Dopo la sconfitta subita dagli Etruschi ad opera dei Siracusani nella battaglia navale di Cuma (474 a.C.) il traffico commerciale fra il mondo mediterraneo e il centro-Europa celtico si era spostato lungo le rotte adriatiche e dai porti di Spina ed Adria attraversava la pianura Padana per risalire le valli verso i valichi alpini.
In conseguenza di ciò l’Etruria padana conosce nel V sec.a.C. un fiorente periodo di sviluppo economico e l’accresciuta potenza politico-militare spinge gli etruschi a creare nuovi insediamenti anche a nord del Po, a Mantova.
È in questo contesto che la popolazione Celtica dei Cenomani al suo arrivo riesce a conquistare un vasto territorio che va dall’Oglio all’Adige e dal pedemontano fino al Po, fonda Verona e Brescia che elegge a propria capitale.
A partire dal II sec.a.C. le popolazioni Celtiche transpadane assorbono gradatamente la cultura e gli usi romani ed entrano in un processo definito di “romanizzazione”. Notevole impulso al cambiamento fu dato dalla costruzione della Via Postumia, realizzata 148 a.C. per garantire il passaggio degli eserciti attraverso la pianura padana, e che d’ora in avanti consentirà una migliore mobilità interna e lo sviluppo economico dell’area. Il processo di integrazione dei Celti subì un’accelerazione nel momento in cui con Roma furono stipulati accordi economici e politici che portarono all’acquisizione del diritto latino nel 89 a.C. e alla cittadinanza romana nel 49 a.C. Nel 42 a.C. la Gallia Cisalpina, e quindi anche la Transpadana, perdono la condizione di provincia e divengono parte integrante dello stato romano.
Ambiente,usi e costumi
Le informazioni acquisite dai ritrovamenti archeologici costituiti principalmente da necropoli e le notizie tramandate da fonti storico-letterarie romane ci svelano un quadro del popolamento gallico costituito da piccoli insediamenti sparsi sul territorio, a poca distanza l’uno dall’altro e in maniera non omogenea. I Celti sono dediti all’agricoltura e all’allevamento, la caccia è ormai un’attività marginale, la natura selvatica del territorio comincia a cambiare in maniera definitiva ad opera dell’uomo, ampi territori vengono deforestati ed al loro posto compaiono culture agricole stabili ed ordinate. Nei villaggi costituiti da case in legno si pratica la tessitura, la lavorazione del vetro, dell’osso e della ceramica, si costruiscono attrezzi e monili in metallo (ferro, bronzo, oro, argento), fiorente è il commercio e l’uso della moneta.
Il rito funerario praticato dai Galli, senza eccezioni, almeno fino alla metà del II sec.a.C., è quello dell’inumazione in posizione distesa, in fosse scavate nel terreno, senza o con scarsi elementi di delimitazione e di protezione. Il corredo che accompagna il morto è costituito da armi (spade, lance, coltelli, scudi, elmi) per le sepolture maschili mentre più ricche di oggetti di abbigliamento (fibule, torques, braccialetti, anelli, armille) sono quelle femminili.
Caratterizzate dall’uso del biritualismo (inumazione ed incinerazione) sono infine le necropoli più tarde, inquadrabili nel II e nel I secolo a.C., periodo in cui le comunità celtiche transpadane gravitano sempre più nell’orbita romana come è attestato dai ritrovamenti archeologici.
I ritrovamenti
Diversi sono i recuperi archeologici, alcuni molto recenti, sul territorio Monteclarense o poco oltre, alta la qualità dei reperti rinvenuti ad indicare un ruolo molto attivo del nostro territorio all’interno della nazione Cenomane.
Da un ritrovamento fortuito nel comune di Montichiari avvenuto attorno all’anno 2000 e probabilmente da un contesto funerario provengono una brocca da vino in bronzo a becco d’anatra (fine V - inizio IV sec.a.C.) e una seconda brocca da vino in bronzo, a bocca trilobata, decorata e con attacco inferiore dell’ansa figurato (fine IV - inizio III sec.a.C.), entrambi i reperti sono di origine etrusca e risalgono al primo periodo dell’occupazione Cenomane quando gli scambi commerciali con i confinanti Etruschi a sud sono molto intensi.
Il vasellame di bronzo era destinato a contenere il vino durante i banchetti, più costoso di quello in vetro o in ceramica, costituiva un simbolo di status sociale e proprio per questo loro valore riconosciuto i contenitori in bronzo (ma i manufatti di bronzo in genere) erano oggetto di scambi, di doni, di commerci su medie e lunghe distanze. I Cenomani possono aver acquistato questa brocca dagli Etruschi ed averla trasmessa di generazione in generazione in ambito familiare dal momento che è stata ritrovata con una brocca più recente. Nulla vieta di pensare che sia stata invece inizialmente conquistata agli Etruschi.
Gli oggetti deposti come offerte nelle sepolture servivano probabilmente ad accompagnare il morto durante il viaggio nell’aldilà. Naturalmente il corredo funerario variava secondo il rango ed il sesso del defunto; l’oggetto in bronzo, considerato di prestigio, si ritrova solo all’interno delle sepolture più ricche.
A Montichiari, in località Val Del Pomo presso la fraz. Campagnoli, nel corso di ricerche archeologiche condotte dal GAM nel 1986-87 sui resti di una villa rustica romana sono stati recuperati frammenti di vasi in ceramica (pareti decorate ad unghiate, ceramica da mensa a vernice nera padana) che fanno risalire l’origine del sito al I sec.a.C. e quindi all’epoca della romanizzazione.
Negli anni 80’ il sig. Cherubini Luigi, appassionato di archeologia, rinviene in riva al fiume Chiese presso il confine nord del comune di Montichiari una Fibula in bronzo con decorazione a globuli (300-250 a.C.).
Nel corso di un livellamento agricolo vengono alla luce in territorio di Calvisano, a poche centinaia di metri dal confine monteclarense, una olpe in bronzo (I sec.a.C) ed un coltello da caccia in ferro, i reperti fanno parte del corredo funerario di un’unica sepoltura gallica. Il coltellaccio in ferro ha la caratteristica forma arcuata dell’arma celtica, è lungo 47,5 cm, è leggermente tronco nelle estremità rispetto all’origine. Così come lo Scramasax per i Longobardi, questo lungo coltello doveva servire nella vita quotidiana per il taglio dei viveri, per l’uccisione degli animali, per difesa oltre all’uso offensivo proprio della battaglia. I ribattini sottintendono un’immanicatura in legno andata persa.
I reperti di Montichiari e Calvisano sono stati consegnati dai possessori al Gruppo Archeologico Monteclarense con la promessa di essere esposti nel PAST – Palazzo dell’archeologia e della Storia del Territorio a Montichiari. Nel 2011 sono stati presentati alla stampa e consegnati alla Soprintendenza Archeologica della Lombardia per lo studio ed il restauro.
Paolo Chiarini - pubblicato